martedì 1 luglio 2014

domenica 1 giugno 2014

La "cintura di Piya"

“Agganciata in vita portava una cintura da scalatore che aveva adattato in modo che i ganci servissero per appenderci un portablocco e altri strumenti. Il primo e più importante era il piccolo monitor che registrava la sua posizione grazie al Global Positioning Sistem. Quando era “sotto sforzo”, concentrata nella ricerca dei delfini, quell’ apparecchio memorizzava i suoi spostamenti a ogni metro e ogni secondo.[…]
Oltre al monitor GPS aveva un telemetro e un profondimetro, così chiamato perché immergendo in acqua il sensore è in grado di fornire la misurazione esatta della profondità.” (La barca – pagina 88) 

Molti degli elementi tecnologici che incontriamo nel libro sono strumenti e mezzi utilizzati da Piya nel suo lavoro e nei suoi viaggi sulle acque del paese delle maree.
Per averli anche noi a portata di mano, eccoli riuniti in un unico post.

Il binocolo
Il profondimetro

giovedì 29 maggio 2014

Il generatore e la luce elettrica

“Ognuna delle luci che fiancheggiavano l’ingresso dell’ ospedale sembrava avvolta in un mobile alone ronzante. Quando il ciclofurgone ci passò davanti, Kanai capì che era l’effetto di nugoli di insetti. E assiepati sotto le lampadine c’erano gruppetti di scolari con i libri aperti sulle ginocchia.
«Ma è luce elettrica quella?» si stupì Kanai.
«Sì».
«Pensavo che a Lusibari non ci fosse».
«Abbiamo l’elettricità nel centro dell’ ospedale», disse Nilima. «Ma solo per alcune ore al giorno, dal tramonto fin verso le nove».”

La luce elettrica in un posto come il paese delle maree non è nulla di scontato. Non c’è interesse a portare il benessere in un posto dove la povertà e la natura selvaggia sono sovrane. È quindi comprensibile che Kanai sia stupito di vedere dell’ illuminazione elettrica.



Passaggio a nord ovest – La lampadina
Parte 1 https://www.youtube.com/watch?v=rMo1TegAbG0
Parte 2 https://www.youtube.com/watch?v=R-N9yBT5R9Q

venerdì 23 maggio 2014

Il sari

“Era divisa dalla stiva di prua da una
murata interna e impermeabilizzata, in modo rozzo ma efficace, con un’ incerata blu. Conteneva una piccola e ordinata riserva di indumenti asciutti, utensili da cucina cibo e acqua. Fokir ci frugò dentro e ne estrasse un pezzo di stoffa ripiegato. Quando lo aprì, Piya vide che era un modestro sari di tessuto stampato.” (La barca – pagina 86)

Il sari è il tipico vestito indiano femminile, uno dei più longevi capi d’abbigliamento la cui tradizione risale al periodo del primo secolo a.C..
I veri sari sono prodotti ancora artigianalmente e con coloranti naturali. Vengono usate diverse varietà di seta, da quelle più rigide per i capi solenni, a quelle più lucide e così via.
Per capi meno elaborati vengono anche usati il cotone e la viscosa.

Nella foto che segue si può notare il dettaglio di un telaio con funzionamento indentico a quello Jacquard a schede di cartone perforate, impiegato proprio nella produzione del sari.


In questo reportage si posono vedere le varie fasi di produzione dei sari: http://foto.panorama.it/foto-belle/sari-india-reportage
Telaio Jacquard : http://it.wikipedia.org/wiki/Telaio_Jacquard

domenica 18 maggio 2014

Il ciclofurgone

“Il veicolo su cui viaggiavano era una novità per Kanai, sull’ isola non ce n’erano all’ epoca della sua ultima visita. Era un ciclofurgone, un carretto a pedali con un pianale quadrato montato dietro il sellino del guidatore. Il pianale serviva per trasportare sia bagagli e animali sia passeggeri, che si accovacciavano a gambe incrociate o sedevano con i piedi penzoloni.” (Il Badabon Trust – pagina 71,72)

Il ciclofurgone non è che una sorta di triciclo, un veicolo a pedali che permette, grazie ad un cassone che può stare di fronte o dietro al guidatore, di portare bagagli o in modo un po’ spartano, come in questo caso, dei passeggeri; un adattamento della bicicletta a quello che può essere un “cargo” alla buona per piccoli carichi.

Video: la storia della bicicletta https://www.youtube.com/watch?v=JpuoetU_JWg

Il profondimetro

“Riprese la sua posizione a prua preparandosi a procedere alla mappatura. Con il monitor in mano indicò a Fokir il punto da cui cominciare. Poi, mentre Tutul immergeva in acqua il primo peso, lei immerse il profondimetro e premette il pulsante.”
“Pochi altri bordi bastarono a confermare l’ipotesi di Piya che i delfini fossero riuniti in una pozza il profondimetro dimostrava che in quel punto il letto del fiume aveva una profondità variabile tra i cinque e gli otto metri, più che sufficienti per dare ospitalità ai delfini quando il livello dell’ acqua si abbassava.” (Granchi – pagina 165,166)

Il profondimetro nasce come adattamento del manometro, uno strumento capace di misurare la pressione dei fluidi. Da come Piya utilizza lo strumento – ovvero immergendo il sensore poco sotto la superficie – capiamo che si tratta di un particolare tipo di profondimetro, che funziona come un ecoscandaglio. Infatti per sapere la profondità, senza mandare lo strumento al fondo e calcolare la pressione del liquido sovrastante, l’unico modo è quello del Sonar: lo strumento invia un segnale che arriva al fondale e torna indietro, permettendo di calcolare la profondità del tratto di fiume.